
Nella Notte tra il 05 e il 06 Gennaio si Aspetta L’ Epifania che tutte le Feste porta Via…
Ma chi è la Befana?
Il termine “Befana” deriva dal greco “Epifania”, ovvero “apparizione” o “manifestazione”.
Questa festa ha origine nei riti propiziatori della fertilità che presero forma fra le popolazioni italiche nel X-VI secolo a.C. La credenza voleva che il 6 gennaio, 12 notti dopo la celebrazione del Sol Invictus (il quale ricorreva il 25 dicembre, data in cui in seguito venne stabilito il Natale cattolico), delle ninfe volassero al di sopra dei campi benedicendo il raccolto. Queste entità venivano associate alla dea Diana, divinità non solo della caccia, ma anche dei cicli lunari e delle coltivazioni- e alle sue ancelle, altre volte alla divinità minore Sàtia (dea della sazietà) o ad Abùndia (dea dell’abbondanza).
Un’altra ipotesi collegherebbe la Befana con una antica festa romana, che si svolgeva sempre in inverno, in onore di Giano e Strenia (da cui deriva anche il termine “strenna”) e durante la quale ci si scambiavano regali. Al tempo dei Romani l’Epifania intesa come manifestazione del divino, chiudeva i festeggiamenti per i Saturnalia, le festività in onore del Dio Saturno che sottolineavano il Solstizio d’inverno. Mentre a Roma e nelle grandi città dell’Impero si festeggiava l’Epifania Saturnaliium, nelle zone rurali i contadini accendevano i loro fuochi in onore della Dea Madre al ritmo lunare e non solare.
La Befana richiamerebbe anche alcune figure importate della stessa mitologia germanica, come ad esempio Holda (nel nord della Germania) e Berchta (nel sud della Germania) divinità femminili che controllavano la natura nel periodo invernale.
RITI E TRADIZIONI POPOLARI
Questi riti pre-cristiani vengono celebrati ancora oggi specie nell’Italia Settentrionale e, in modo particolare in Veneto, Piemonte e Lombardia.
La notte del 5 Gennaio, le oscure pianure venete e friulane si accendono dei mille falò del Panevin, antico rito contadino arcaico legato, appunto, alle celebrazioni solstiziali pre-cristiane. Vengono costruiti falò e gigantesche pire fatte da sterpaglia, rimasugli delle potature, tralci di vite, fascine di rovi ecc.
In cima alla pira è sistemato un pupazzo grottesco, la Befana chiamata “Maràntega” che rappresenta tutte le cose dalle quali liberarsi, come la miseria e le malattie, la carestia e la siccità ecc., che finiscono nel sacco del passato .
Il Piemonte, la Brianza e l’Alto milanese sono anch’esse illuminate da fuochi simili, in onore di una vecchia strega: la Giubiana (il nome varia leggermente secondo il paese) durante la notte dell’ultimo giovedì di Gennaio. Come la Maràntega, anche la Giubiana rappresenta la Madre Terra vecchia e stanca. Anche la pira della Giubiana rappresenta il rogo di un passato carico di cose da dimenticare e bruciare.
L’origine del nome Giubiana è sconosciuta, tuttavia, molti riconducono questa celebrazione al culto di Giove e Giunone, divinità tutelari della famiglia, rappresentanti il Cielo e la Terra.
Secondo la tradizione popolare la Giubiana è una strega, spesso magra e dalle gambe molto lunghe vestite da calze rosse. Vive nei boschi e, grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero. Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini. Ogni ultimo Giovedì di Gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare. * (di G. Colucci)

“La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, con le toppe alla sottana, via viva la Befana!” dice la famosa filastrocca, ma da dove viene veramente la simpatica vecchietta che regala dolciumi solo ai bambini che sono stati buoni durante l’anno?
Secondo una versione “cristianizzata” di una leggenda risalente intorno al XII secolo, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una signora anziana. Malgrado le loro insistenze, affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentita di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci. Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare. In alcune versioni si dice che sia la moglie di Babbo Natale, o in altre una sua amica o una sua parente.

L’aspetto da vecchia sarebbe anche una raffigurazione simbolica dell’anno vecchio: una volta davvero concluso, lo si può bruciare, così come accadeva in molti paesi europei, dove esisteva la tradizione di bruciare dei fantocci vestiti di abiti logori, all’inizio dell’anno. Dall’antico rito del falò, deriverebbe dunque il carbone – o anche la cenere – inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo, appunto, del rinnovamento stagionale, ma anche dei fantocci bruciati. Nell’ottica morale cattolica dei secoli successivi, nella calze e nelle scarpe veniva inserito solo il carbone come punizione per i soli bambini che si erano comportati male durante l’anno precedente. *(intoscana.it)

Le antiche tradizioni pagane,
ritenevano che la Befana era la personificazione di Madre Natura, che giunta alla fine dell’anno invecchiata e avvizzita, offriva in regalo dei semi da cui lei sarebbe rinata fanciulla durante la notte della Candelora, dove la luce dell’Aurora, sconfigge per la prima volta nell’anno nuovo, il buio profondo della notte invernale, e sbocciare di nuovo bellissima tra i fiori di primavera come giovane fanciulla. Per le popolazioni Celtiche questa stagione dell’anno si chiamava Imbolc e appunto annunciava l’avvento della luce e la sua vittoria sul buio della notte invernale, quindi la rinascita dopo la morte nell’eterno ciclo di rinnovamento. Ma una figura mitologica che ben si addice al personaggio della nostra vecchietta brutta e rugosa che vola nel buio cielo notturno del freddo inverno… veniva chiamata Cailleach,(la Velata) la Regina del freddo. La Cailleach o Vecchia Donna ha molti tratti di una personificazione dell’inverno: pascola cervi, combatte la primavera e il suo bastone gela il suolo.
Nella mitologia irlandese essa è nota come “Cailleach Bheur”, una strega e divinità creatrice, o anche un antenato divino.
In Scozia è nota anche come Beira, Regina dell’inverno e sarebbe stata lei a creare molte montagne e colline camminando a grandi passi e facendo cadere accidentalmente rocce dal suo grembiule, mentre in altre leggende invece ha creato colline e vallate col suo maglio. Viene definita come la madre di tutte le dee e di tutti gli dei. In Scozia le Cailleachan sono note anche come le Streghe delle Tempeste e sono viste come la personificazione degli elementi della natura specialmente nel loro aspetto distruttivo, pertanto si dice che siano particolarmente attive nell’alzare le tempeste di vento primaverili durante il periodo detto “A’ Chailleach”.
Sulla costa ovest della Scozia la Cailleach esce d’inverno per lavare la sua grande coperta nel Gorgo di Corryvreckan (che significa “Calderone del plaid”). Il lavaggio durerebbe tre giorni, durante i quali il rumore della tempesta imminente viene sentito fino a lunga distanza nell’entroterra e quando finisce, la coperta è bianca e la terra è coperta di neve. Secondo una leggenda la Cailleach, stanca per aver pascolato tutto il giorno i suoi cervi, si addormentò sul Ben Cruachan e il pozzo che stava sorvegliando straripò, le acque che allagarono le valli formarono il fiume e il lago Awe.
Una storia simile si riferisce anche alla nascita del fiume Boyne per opera della dea irlandese Boann.
In Scozia e in Irlanda è usanza che il primo coltivatore che termina il raccolto del grano, ricava dall’ultimo covone un pupazzo detto Carlin o Carline che rappresenta la Cailleach. La figura viene poi gettata di volta in volta nel campo del vicino che non ha ancora finito il raccolto. L’ultimo coltivatore che finisce il raccolto si prende la figura che deve conservare con cura per un anno e sfamare ed ospitare la strega per tutto l’inverno. I coltivatori fanno a gara per evitare di mantenere la Cailleach.
In un’antico poema irlandese “Il Lamento della Cailleach” di Beare, essa ha cinquanta figli adottivi e sette periodi di giovinezza consecutivi, così ogni uomo vissuto con lei è morto di vecchiaia. I suoi nipoti e pronipoti sono tribù e razze.
Nella leggenda Cailleach, se vuole far durare ancora a lungo l’inverno, renderà il 1º febbraio una giornata soleggiata per poter raccogliere legna sufficiente per i freddi mesi successivi, ma se il 1º febbraio c’è tempo pessimo, significa che la Cailleach dorme e quindi l’inverno sta per finire.
Il termine Cailleach si ritrova in parole gaeliche come cailleach-dhubh “Vecchia Nutrice” o cailleach-oidhche “Vecchia Civetta” e nell’irlandese cailleach feasa “Veggente” e cailleach phiseogach “Maga”.
Secondo una leggenda,i semi donati dalla Befana, sono collegati al fiore della”Bella di Notte”, pianta decorativa cara alla Dea della Luna, appunto perché fiorisce di preferenza nelle ore serali e notturne, oltre che ad essere molto resistente alle gelate e pronta a rispuntare ad ogni primavera.
BUONA FESTA CON SIMPATIA E VI LASCIO CON UNA POESIA
La Befana di Giovanni Pascoli
Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso, or più lontano.
Piano, piano, piano, piano.
Chi c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Chi c’è dentro questa villa?
Guarda e guarda… Tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
guarda e guarda… Ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! Tre calze e tre lettini…
Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolano le scale;
il lumino brilla e sale,
e ne palpitano le tende.
Chi mai sale? Chi mai scende?
Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra:
trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?
Guarda e guarda… Tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra la cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…
E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
La Befana va sul monte.
Ciò che vede e ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride;
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.

GRAZIE PER L’ATTENZIONE CIAO DAL #BlogdiCosetta